PAVIA
Nebbia scoscesa alle fronde dell’anima,
nube silente al torpore: Pavia!
Donna sublime dei tuoi longobardi
e di sforzesco splendor,

ora non sei che la fievole gloria,
sì distaccata e non osa il Ticino
non rimirar degli antichi tuoi sguardi:
tace un silente torpor!

Amico mio, siamo come una fievole
fiaba! Noi siamo l’argenteo silenzio
lieve eravamo anche noi gli stendardi
cavallereschi nel cuor!

Non longobardi dei tempi degli avi,
non carolingi di un’era più giovine,
non gli sforzeschi guerrieri, che guardi
amico mio? Un disonor

che questa vita a noi, adunque, proclama,
eppur quest’attimo è mite sollievo,
siamo eppur sempre la polvere fine,
Mercoledì delle Ceneri. Sai,

tutto ci è estraneo, però, qui alla piazza,
una fanciulla ancor legge Tolstoj,
ma, giovinezza, non sai se sei incline
a quel che un giorno sarai.
Passano gli anni, tutto è malinconico,
noi lentamente siamo inesorabili
vecchi oppur siamo una tragica fine.
Quale mestizia oramai

lieve, ci adorna della sua presenza?
Oh, vorrei esser dissolto in un bigio,
come quel bigio che sarà a noi il crine
e non è speme giammai!

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